lunedì 1 aprile 2013

"L'uccello in chiesa" di Trilussa



L'uccello in chiesa


Era d’agosto e un povero uccelletto,
ferito dalla fionda d’un maschietto,
andò, per riposare l’ala offesa,
sulla finestra aperta d’una chiesa.
Dalle tendine del confessionale
il parroco intravide l’animale
ma, pressato dal ministero urgente,
rimase intento a confessar la gente.
Mentre in ginocchio alcuni, altri a sedere
dicevano i fedeli le preghiere,
una donna, notato l’uccelletto,
lo prese al caldo e se lo mise al petto.
D’un tratto un cinguettio ruppe il silenzio
e il prete a quel rumore
il ruolo abbandonò di confessore
e scuro in viso peggio della pece
s’arrampicò sul pulpito e poi fece:


 
“Fratelli, chi ha l’uccello, per favore,
esca fuori dal tempio del Signore.” 
 I maschi, un po’ stupiti a tal parole,
lenti s’accinsero ad alzar le suole.
Ma il prete a quell’errore madornale

“Fermi!”, gridò, “mi sono espresso male.
Rientrate tutti e statemi a sentire:
solo chi ha preso l’uccello deve uscire.”

A testa bassa, la corona in mano,
cento donne s’alzarono pian piano.
Ma mentre se n’andavano ecco allora
che il parroco strillò:
 
“Sbagliate ancora! Rientrate tutte quante,
 figlie amate, ch’io non volevo dir quel
che pensate.” “Ecco, quello che ho detto
torno a dire: solo chi ha preso l’uccello
deve uscire, ma mi rivolgo, non ci sia sorpresa,
soltanto a chi l’uccello ha preso in chiesa.” 
Finì la frase e nello stesso istante
le monache s’alzaron tutte quante,
e con il volto pieno di rossore
lasciavano la casa del Signore.

“Oh Santa Vergine!”, esclamò il buon prete,
“Fatemi la grazia, se potete!
Poi: “Senza fare rumore dico, piano piano,
s’alzi soltanto chi ha l’uccello in mano.” 
Una ragazza, che col fidanzato
s’era messa in un angolo appartato,
sommessa mormorò, col viso smorto:

“Che ti dicevo? Hai visto? Se n’è accorto!”
  



 
Carlo Alberto Salustri, più conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa - anagramma del cognome - è stato un poeta italiano noto per le sue composizioni in dialetto romanesco.
Il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi nominò Trilussa senatore a vita il 1 dicembre del 1950, venti giorni prima che morisse (si legge in uno dei primi numeri di "Epoca" dedicato, alla notizia del suo decesso, che il poeta, già da tempo malato, e presago della fine imminente, con immutata ironia, avesse commentato: "M'hanno nominato senatore a morte"; resta il fatto che Trilussa, benché 79enne al momento del trapasso, si ostinava con civetteria d'altri tempi a dichiarare di averne 73).
Trilussa fu il terzo grande poeta dialettale romano comparso sulla scena dall'Ottocento in poi: se Belli con il suo realismo espressivo prese a piene mani la lingua degli strati più popolari per farla confluire in brevi icastici sonetti, invece Pascarella propose la lingua del popolano dell'Italia Unita che aspira alla cultura e al ceto borghese inserita in un respiro narrativo più ampio. Infine Trilussa ideò un linguaggio ancora più prossimo all'italiano nel tentativo di portare il vernacolo del Belli verso l'alto. Trilussa alla Roma popolana sostituì quella borghese, alla satira storica l'umorismo della cronaca quotidiana.
(da Wikipedia)




2 commenti:

  1. Ciao Vilma bellissima e molto simpatica questa poesia del Trilussa, sempre divertente, grazie, mi piace questo autore per la sua ironia e il suo dialetto romano che enfatizza quello che scrive, ciao buona Pasquetta rosa a presto.))

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  2. bellissima la poesia ma non è di Trilussa... è di Natale Polci

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