mercoledì 20 novembre 2013

Tinte brunastre



Tinte brunastre

sono mani ruvide
segnate dal tempo
quelle che umide di sputo
afferrano zappe pesanti
e spaccano solchi all'alba

è là...
dove il sole batte più forte
e il vento impolvera
le lingue di sudore
che la pelle arsa
e le labbra screpolate
con le dita indurite
si asciuga la fronte

per sfamare la bocca
di un pasto frugale

e alla sera torna a casa
con rassegnati tramonti
sulle spalle
e l'alito della fame
avanzando silenziosi
passi appaiati a ritmo alterno
tra zolle di terra aspra
e invisibili sogni
che corrono al fianco
 con malinconie e preghiere

e alla fioca luce
di un umile dimora
che illumina dall'alto
dignità e amore
e un infanzia tolta
rumina la lingua bruciata
carovane di speranze
con pane e patate
per sfamare d'essenziale
il silenzio

e con un segno di croce
a Dio raccomanda
il domani

...
Vilma Bellucci
tutti i diritti riservati





Analisi del dipinto


di Sergio Carrivale

Vincent Van Gogh, De Aardappeleters (mangiatori di patate) - olio su tela, cm 82 x 114 1885 Museo Van Gogh di Amsterdam

È il 1885 e Vincent in questo periodo è preda di una forte vocazione religiosa già evidente in Inghilterra quando durante uno dei suoi viaggi all’estero iniziò a predicare in una chiesa metodista. Al suo rientro nella casa paterna nel 1877 a Etten il padre, pastore protestante, supportò la sua vocazione e lo spinse ad andare ad Amsterdam per iscriversi alla facoltà di teologia, ma Vincent non riuscì nemmeno a superare gli esami di ammissione e iniziò così a predicare ugualmente senza averne titolo.
Questa premessa ha lo scopo di fotografare l’animo del pittore in questo momento in relazione al viaggio che da Amsterdam lo porta in un villaggio minerario del Belgio: Borinage. Qui l’artista condivise la vita quotidiana dei minatori. Povera gente abbruttita dal dolore e dalla fatica, angosce che dividevano, come il pane e le patate, con le loro famiglie a casa la sera.
In questo contesto si rafforza la vocazione di Van Gogh e il legame fraterno stesso con i poveri e derelitti minatori belgi e non solo. “mangiatori di patate” fu un lavoro che durò quasi un anno e l’opera finale fu preceduta da diversi studi pittorici. Si iniziano ad intravedere già i primi caratteri che identificano il linguaggio stilistico di Vincent, come ad esempio le figure che hanno un aspetto deforme, molle quasi che la sofferenza renda i loro volti delle caricature oscene.
La scena è ambientata in una casa poverissima e al suo interno la luce fioca di una lampada a petrolio illumina solo una parte della stanza e dei personaggi seduti intorno al tavolo. Citazioni di un fiammingo secentesco. Il gruppo di persone, contadini e non minatori poiché il quadro è dipinto Neuen, è composto da cinque persone intente a consumare un pasto frugale a base di patate. Tra loro di spalle vi è anche una bimba, avvolta da un alone che sembra darle un effetto controluce. Malgrado la loro condizione di indigenza e la difficoltà nell’affrontare le fatiche, le privazioni e le sofferenze della loro vita quotidiana mantengono nei gesti e negli sguardi reciproci un rispetto inaspettato ed esprimono una dignità che li unisce rafforzandoli nella misera che condividono.
E’ visibile la partecipazione affettiva di Vincent nella spiritualità che ritrae dei personaggi e la religiosità con cui essi consumano il pasto faticosamente guadagnato con il duro lavoro della terra. Ed è visibile il valore intrinseco della casa e della famiglia ove i gesti e le povere cose divengono importanti e degne.
Tinte scure e brunastre con alcune pennellate gialle e azzurro chiaro in alcuni riflessi della luce della lampada.

( grazie a Sergio... per aver accolto la mia richiesta di scrivere un analisi del dipinto)

domenica 10 novembre 2013

Il muro


 ( il 9 novembre 1989 cadeva il Muro di Berlino)



-il muro-

mattoni d'odio
uno sull'altro
pietre di pianto e di dolore

passi silenziosi
avanti e indietro
al sole o all'ombra
di quel muro

uccelli che volano
da una parte all'altra

occhi puntati al cielo
lo stesso di tutti
a cercare tra folate d'aria
respiri e sospiri
di volti conosciuti

quasi arresi...

ma le dita e le labbra
restano attaccate a fessure
per succhiare luce
all’altro lato

l'ombra s'allunga
per guardare oltre

e cresce il brusio
d'amore e di speranza
giorno per giorno
sino a diventare colpi

a sbriciolare l'odio
la paura e la diffidenza
... e quel muro


***
tutti i diritti riservati



... sono in ritardo, l'avrei dovuta pubblicare ieri
Buona domenica a tutti!!!

mercoledì 6 novembre 2013

Le cose che non ho - Grégoire Delacourt



Voglio parlarvi oggi, di uno dei tanti libri che ho letto in questo periodo, e del successo che è stato paragonato, al successo dell'eleganza del riccio di Barbery Muriel. Ogni persona ha i suoi gusti e la vede in modo diverso, pur essendo un bel libro, se posso esprimere la mia opinione, l'eleganza del riccio mi è piaciuto molto di più.

Vi lascio un assaggio di questo libro


Autore

Grégoire Delacourt, classe 1960, è uno tra i più grandi pubblicitari francesi, autore di famosissime campagne. Le cose che non ho è stato per mesi numero uno nelle classifiche dei bestseller francesi ed è ancora oggi tra i libri più venduti e più amati dal pubblico. Diventerà presto un film. 
 


Sinossi

Dice un vecchio adagio che le lacrime più amare sono quelle versate per le preghiere esaudite. Sì, a volte succede che la gioia per una svolta inattesa del destino svanisca in fretta di fronte alla possibilità concreta di realizzare un sogno, lasciandoci smarriti e confusi.
È quello che accade a Jo, la protagonista di questo romanzo: “un cuore semplice”, una donna intelligente e positiva con un’esistenza quieta, nutrita di sogni, che per un colpo di fortuna all’improvviso è in grado di realizzarli tutti. Forse la felicità non è così matematica. Forse non si tratta solo di sommare un sogno dopo l’altro, ma di ritrovare se stessi in ciò che si fa. Forse a Jo semplicemente non serve avere tutto ciò che ha sempre desiderato; perché il suo matrimonio, il lavoro, i figli ormai grandi e l’amore non sono beni acquisiti ma cose vive che sfuggono al suo controllo, e con cui si può solo entrare in sintonia senza farsene travolgere, come quando si nuota tra le onde di un mare agitato.
Le cose che non ho è tutto questo: scritto con una prosa dalla grazia perfetta, è un romanzo sull’intensità del desiderio e sulla tenacia del quotidiano, sulla capacità di rinunciare al sogno per una realtà che scegliamo noi stessi quasi senza saperlo, ma piena di tutto quello che ci rende davvero felici.
Come l’Eleganza del riccio, un nuovo romanzo francese semplice, profondo, arguto e filosofico, delicato e pieno di tenerezza. Un romanzo dove i sogni sono le nuvole del pensiero e le liste dell’anima sono fatte di desideri.




 Il romanzo in pillole

«È solo nei libri che può cambiare la vita. Solo lì si può cancellare tutto con un tratto di penna. Fare sparire il peso delle cose. Cancellare le cattiverie meschine e alla fine di una frase, ritrovarsi all’improvviso alla fine del mondo».

«Possedevo ciò che i soldi non possono comprare ma solo distruggere. La felicità. La mia felicità, per lo meno. Con i suoi difetti. Le sue banali certezze. Le sue piccolezze. Ma era la mia. Immensa. Scintillante. Unica».

«I nostri bisogni sono i nostri piccoli sogni quotidiani.
Sono le nostre piccole cose da fare, che ci proiettano verso il domani, e il giorno seguente, nel futuro; sono quelle cose di poco conto che compreremo la settimana prossima e che ci permettono di pensare che la prossima settimana saremo ancora vivi».


«Penso che prendersi il proprio tempo sia importante.
Penso che tutto vada troppo in fretta. Si parla troppo in fretta. Si pensa troppo in fretta. Si inviano mail, messaggi senza rileggersi, si perde l’eleganza dell’ortografia, l’educazione, il significato delle cose».


«A me le parole piacciono.
Amo le frasi lunghe, i sospiri che non finiscono più. Mi piace quando, a volte, le parole nascondono quello che vogliono dire; o lo dicono in un modo diverso».


«Vedete, si mente sempre a se stessi.
Perché l’amore non resisterebbe alla verità».


«I miei mi hanno chiamata Jocelyne.
Avevo una probabilità su un milione di sposare un Jocelyn, ed è andata proprio così. Jocelyn e Jocelyne. Una probabilità su un milione. Ed è capitata proprio a me».


«Lei non è una che ama tanto le parole.
Da sempre parla pochissimo. Non mi ha mai detto mamma ho fame, per esempio. Si alzava e prendeva qualcosa da mangiare. Non mi ha mai detto: chiedimi la poesia, la lezione, le tabelline. Teneva le parole per sé, come fossero cose rare».


«Coniugavamo il silenzio, mia figlia e io: sguardi, gesti e sospiri sostituivano soggetti, verbi e complementi».

«Vorrei avere la fortuna di decidere della mia vita,
credo che sia il più grande regalo che ci possa esser fatto. Decidere della propria vita».


«“È lei la meraviglia”, mi disse.
Arrossii. Il mio cuore prese a battere all’impazzata. Sorrise. Gli uomini sanno che certe parole vanno diritte al cuore delle ragazze; e noi, povere idiote, restiamo lì ad aspettare solo di cadere in trappola, contente del fatto che un uomo ce ne abbia finalmente tesa una».


«La mia vita non ha la grazia perfetta che la mia mamma mi augurava la sera, quando veniva a sedersi accanto a me, sul letto; quando mi accarezzava dolcemente i capelli, mormorando: hai del talento, Jo, sei intelligente, avrai una vita felice. Anche le mamme mentono. Perché anche loro hanno paura».

«Ho visto le sue nuove rughe sulla fronte, minuscole rughette intorno alla bocca,
la pelle che cominciava a rilassarsi sul collo, dove una volta gli piaceva essere baciato. Ho visto gli anni sul suo viso, ho visto il tempo che ci allontana dai nostri sogni e ci avvicina al silenzio. Allora l’ho trovato bello, il mio Jo nel suo sonno di bambino malato, e ho amato la mia bugia».


«Più le bugie sono grosse, meno le si vede arrivare».
  


( dal web...)