martedì 25 ottobre 2011

Ho paura di non saper dire addio



Apro gli occhi … intorno a me il silenzio.
L'aria è stagnante, respiro a fatica
e non basta aprire le finestre.
Vorrei fuggire da questa realtà,
ma incollata sono, ogni giorno
a questo bianco e gelido letto.
Umide scie solcano il volto
mentre cerco fiato da respirare
per non soffocare in un singulto.
Doloroso sarà vedere il mondo
proseguire incurante del fatto,
che io non ne possa seguire il passo.
Ma dovrò imparare a vivere a quest'altezza.
Ogni viso, ogni nome da oggi sarà nuovo,
nessuna faccia somiglierà più a quella di prima.
Conterò i giorni come grani di rosario
nell'illusione di una grazia.
Sarò l'ombra di un mercante di sogni rubati
nell'attesa di lanciare per l'ultima volta i miei dadi.
Mentre il mio corpo pallido, si consumerà
al passaggio lento ed inesorabile
del sangue infetto che scorre nelle mie vene
a corrodere avidamente speranze e desideri
e nutrendosi delle mie amare illusioni.
Prego in silenzio … parlo sottovoce
mentre l'ago della dialisi
mi sputa nelle vene un altro giorno di vita.
O Dio...
ho paura, si … lo ammetto,
paura che il giorno finisca troppo presto
e che la notte giunga senza luna.
Ho paura di non riuscire a saper dire addio
e di non poter dare quell'ultima carezza.


***
28 Maggio 2011


Licenza Creative Commons
Questo opera è di Vilma Bellucci ed è distribuita con licenza Creative Commons



Aurelio Zucchi della mia poesia "Ho paura di non saper dire addio" dice ...

Si legge bene, produce emozione, fa pensare, è poesia importante. Potrei cavarmela così e assolvere quindi al desiderio di lasciare anch’io una considerazione. Ho letto, però, più volte questo scritto e non solo perché memore dell’esperienza analoga vissuta da mio padre e, di riflesso, da me. Non è facile commentare questo tuo susseguirsi incalzante di versi nei quali la vita (tra paure e speranze) e la morte (tra paure e paure) sembrano fondersi in un’unica entità universale. Sarebbe facile, ora, farti i miei più sinceri complimenti per il riconoscimento ottenuto e chiudere a questo punto la mia analisi ma, entrando nella sfera espressiva che riguarda ciascuno di noi cosiddetti poeti, mi piace annotare una riflessione. Si può fare poesia senza bisogno, per una volta, di chiedere in prestito le icone più riconosciute, alle quali senza che ce ne accorgiamo (?) affidiamo gli “effetti speciali” del nostro verseggiare. Mi riferisco, per esempio, alla luna, alle stelle, al mare, al sole, ad un lui, ad una lei, all’alba, al tramonto, alla notte, all’orizzonte, al firmamento, ad un fiore, ad un campo di grano. Io credo che si possa fare della buona poesia andando a pescare nel più profondo oceano che siamo, nei fondali sperduti delle nostre ansie, angosce e paure. Si può fare della buona poesia alzando gli occhi al cielo e contando fino alla noia i giorni che vorremmo per noi infiniti. Si può fare della buona poesia incatenandosi ad uno sfuggente senso del vivere, prendendo a riferimento un’apparecchiat ura da dialisi o un letto d’ospedale. E quando si riesce a stabilire con il nostro poetare un contatto d’assoluta intimità, quando non si ha il timore d’ostentare occhi lucidi o tremolio alle gambe, allora quello è il momento preciso, il momento topico, in cui possiamo “anche vantarci” di essere poeti davanti al mondo. Di questa connotazione ho sempre cercato di nutrire il mio scrivere, senza vergogna di mostrare agli altri debolezze e sogni, anche i più reconditi. Ecco perché ho avvertito in questo testo (drammatico per alcuni versi ed educativo per altri) il senso quasi compiuto del sentirsi forti al di là di ogni tentazione malefica e distruttiva che vorrebbe insidiarci. Leggendo della tua accettazione, della tua consapevolezza e del tuo coraggio, mi viene da pensare che la vita, nelle sue più reali o più assurde sfaccettature, ci richieda a volte una stasi, un tempo nel quale fermarci e guardare le nude armi che abbiamo per difenderci. L’ho fatta troppo lunga e alla fine ho detto molto meno meglio di te quanto tu hai invece saputo narrare invitando con la tua “presa diretta” il lettore a “non avere paura”.
Infatti, in questo passaggio: "Ho paura di non riuscire a saper dire addio e di non poter dare quell'ultima carezza" paradossalmente , esprimi il grande anelito alla vita. In quell’ultima carezza c’è il ricordo della prima, della seconda…. e della penultima e nel ricordo si rinnova la gioia del poterla replicare.
Infine, per entrare nel cuore di un tanto potente quanto raffinato verseggiare, ti rubo questi versi :
"Sarò l'ombra di un mercante di sogni rubati nell'attesa di lanciare per l'ultima volta i miei dadi."
Continua a scrivere, ne vale la pena.

Francesco Carlucci della mia poesia "Ho paura di non saper dire addio" dice ...

L'autrice però, ha sapientemente traslato il dolore a chi realmente lo portava, come a dire ...
il vero dolore è del Cristo che portava la croce che non sapeva come dire al mondo ... VADO VIA, ma vi lascio spero il mio ricordo e il mio amore; e non di chi vive il dolore indirettamente ...

Una poesia che lascia traccia ... ma senza far male, perchè il vero contenuto ((almeno secondo il sottoscritto) è che chi soffre cerca di farlo in silenzio per evitare ulteriore dolore, ma nel suo cuore soffre immensamente non per la malattia che lo consuma... ma per la paura di non vedere nei propri occhi il viso di chi ha amato!




7 commenti:

  1. Bellissima e commovente lirica. Alla fine della lettura ero con le lacrime agli occhi, hai saputo descrivere molto bene e in modo particolareggiato la giornata tipica di un paziente che sa di avere poca vita.Forse è il tuo lavoro, forse la tua indole ma è certo che provi empatia per chi soffre. Complimenti sinceri

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  2. Ho provato angoscia mentre leggevo i tuoi versi così veri e così sensibili...
    Piacere di conoscerti
    A risentirci

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  3. Ecco un altro brano poetico in cui il tema è ancora la sofferenza, non quella personale, ma quella che l'autrice attinge altrove, per descriverla in prima persona, in virtù della notevole sensibilità identificatrice di cui è provvista. Ma l’argomento sofferenza, lungi dallo stancare, affascina.

    Parlare dei mali corporei non sempre incontra il favore del pubblico, giacché il dolore fisico spaventa e finisce per allontanare il lettore. Il mal di vivere invece, quello che nasce dallo spirito, è assai diffuso e viene condiviso volentieri.

    Wilma Bellucci tratta mali estremi, sia fisici che psichici, spesso irrisolvibili, dando voce allo sgomento e lo fa con atteggiamento grave, pensoso, ma senza cadere nella retorica o, peggio, nel pietismo. Di fronte alla lettura dei suoi versi, a prevalere non è un senso di compassionevole distacco, ma un sentimento di affratellamento e partecipazione con chi soffre.

    In ciò sta la sua "arma vincente".

    A volte il linguaggio sembra scivolare nella prosa: " Prego in silenzio ... parlo sottovoce / mentre l'ago della dialisi / mi sputa nelle vene un altro giorno di vita" ma poi si risolleva e rimane ancorato agli stilemi della poesia, come avviene ad esempio nel prosieguo, dove il brano raggiunge il suo vertice, un passaggio di struggente dolcezza:

    “O Dio... / ho paura, si … lo ammetto / paura che il giorno finisca troppo presto / e che la notte giunga senza luna. / Ho paura di non riuscire a saper dire addio / e di non poter dare quell'ultima carezza. “

    Quest’ultima strofa fa la differenza e consacra Wilma Bellucci autentica artista.


    Nigel Davemport

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  4. Ecco un altro brano poetico in cui il tema è ancora la sofferenza, non quella personale, ma quella che l'autrice attinge altrove, per descriverla in prima persona, in virtù della notevole sensibilità identificatrice di cui è provvista. Ma l’argomento sofferenza, lungi dallo stancare, affascina.

    Parlare dei mali corporei non sempre incontra il favore del pubblico, giacché il dolore fisico spaventa e finisce per allontanare il lettore. Il mal di vivere invece, quello che nasce dallo spirito, è assai diffuso e viene condiviso volentieri.

    Wilma Bellucci tratta mali estremi, sia fisici che psichici, spesso irrisolvibili, dando voce allo sgomento e lo fa con atteggiamento grave, pensoso, ma senza cadere nella retorica o, peggio, nel pietismo. Di fronte alla lettura dei suoi versi, a prevalere non è un senso di compassionevole distacco, ma un sentimento di affratellamento e partecipazione con chi soffre.

    In ciò sta la sua "arma vincente".

    A volte il linguaggio sembra scivolare nella prosa: " Prego in silenzio ... parlo sottovoce / mentre l'ago della dialisi / mi sputa nelle vene un altro giorno di vita" ma poi si risolleva e rimane ancorato agli stilemi della poesia, come avviene ad esempio nel prosieguo, dove il brano raggiunge il suo vertice, un passaggio di struggente dolcezza:

    “O Dio... / ho paura, si … lo ammetto / paura che il giorno finisca troppo presto / e che la notte giunga senza luna. / Ho paura di non riuscire a saper dire addio / e di non poter dare quell'ultima carezza. “

    Quest’ultima strofa fa la differenza e consacra Wilma Bellucci autentica artista.

    Nigel Davemport

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  5. Ecco un altro brano poetico in cui il tema è ancora la sofferenza, non quella personale, ma quella che l'autrice attinge altrove, per descriverla in prima persona, in virtù della notevole sensibilità identificatrice di cui è provvista. Ma l’argomento sofferenza, lungi dallo stancare, affascina.
    Parlare dei mali corporei non sempre incontra il favore del pubblico, giacché il dolore fisico spaventa e finisce per allontanare il lettore. Il mal di vivere invece, quello che nasce dallo spirito, è assai diffuso e viene condiviso volentieri.
    Wilma Bellucci tratta mali estremi, sia fisici che psichici, spesso irrisolvibili, dando voce allo sgomento e lo fa con atteggiamento grave, pensoso, ma senza cadere nella retorica o, peggio, nel pietismo. Di fronte alla lettura dei suoi versi, a prevalere non è un senso di compassionevole distacco, ma un sentimento di affratellamento e partecipazione con chi soffre.
    In ciò sta la sua "arma vincente".
    A volte il linguaggio sembra scivolare nella prosa: " Prego in silenzio ... parlo sottovoce / mentre l'ago della dialisi / mi sputa nelle vene un altro giorno di vita" ma poi si risolleva e rimane ancorato agli stilemi della poesia, come avviene ad esempio nel prosieguo, dove il brano raggiunge il suo vertice, un passaggio di struggente dolcezza:

    “O Dio... / ho paura, si … lo ammetto / paura che il giorno finisca troppo presto / e che la notte giunga senza luna. / Ho paura di non riuscire a saper dire addio / e di non poter dare quell'ultima carezza. “

    Quest’ultima strofa fa la differenza e consacra Wilma Bellucci autentica artista.

    Nigel Davemport

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  6. Ecco un altro brano poetico in cui il tema è ancora la sofferenza, non quella personale, ma quella che l'autrice attinge altrove, per descriverla in prima persona, in virtù della notevole sensibilità identificatrice di cui è provvista.
    Ma l’argomento "sofferenza", lungi dallo stancare, attira e affascina.
    Parlare dei mali corporei non sempre incontra il favore del pubblico, giacché il dolore fisico spaventa e finisce per allontanare il lettore. Il mal di vivere invece, quello che nasce dallo spirito, è assai diffuso e viene condiviso volentieri.
    Wilma Bellucci tratta mali estremi, sia fisici che psichici, spesso irrisolvibili, dando voce allo sgomento e lo fa con atteggiamento grave e pensoso, ma senza cadere nella retorica o, peggio, nel pietismo.
    Di fronte alla lettura dei suoi versi, a prevalere non è un senso di compassionevole distacco, ma un sentimento di affratellamento e partecipazione con chi soffre. In ciò sta il suo "segreto", la sua "arma vincente".
    A volte il linguaggio sembra scivolare nella prosa: " Prego in silenzio ... parlo sottovoce / mentre l'ago della dialisi / mi sputa nelle vene un altro giorno di vita" ma poi si risolleva e riprende la purezza della poesia, come avviene ad esempio nel prosieguo, dove il brano raggiunge il suo vertice, un passaggio di struggente dolcezza:
    [Cut]
    “O Dio... / ho paura, si … lo ammetto / paura che il giorno finisca troppo presto / e che la notte giunga senza luna. / Ho paura di non riuscire a saper dire addio / e di non poter dare quell'ultima carezza. “
    Quest’ultima strofa fa la differenza e consacra Wilma Bellucci autentica artista!

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  7. Bella e importante ma altre tue mi sono piaciute di più. Soprattutto le ultime, che hai scritto con stile sempre essenziale e impeccabile. Complimenti comunque e spero che tu non te la prenda. Con ammirazione, Maurizio.

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